Estinzione del reato e condotte riparatorie
L’istituto dell’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, disciplinato dall’art. 35, co. 1, D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, rappresenta una peculiare forma di definizione alternativa del procedimento che costituisce una delle principali innovazioni introdotte dalla normativa istitutiva della figura del Giudice di pace e trova la sua ratio nell’esigenza di “configurare un sistema che vuole porsi come mezzo di tutela sostanziale dei beni giuridici lesi, più che come astratto ed indefettibile meccanismo retributivo conseguente alla commissione del reato”.
Al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione, pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace aveva dichiarato estinto il reato di lesioni personali ascritto all’imputato, ritenendo sussistere la causa estintiva prevista dall’art. 35, D. lgs. n. 274/2000, ha affermato che il problema della “qualità” della valutazione del Giudice di Pace per quanto riguarda la sufficienza e l’esaustività della condotta riparatoria posta in essere dall’imputato, deve essere risolto attribuendo al Giudice la possibilità di valorizzare la condotta processuale e l’impegno nel reperimento delle risorse necessarie alla riparazione, senza che, diversamente, possa ritenersi elemento ostativo la mancata formulazione di scuse o altra forma di contrizione, poiché, diversamente, si finirebbe per introdurre nel procedimento estintivo una dimensione etica e personalistica che, in quanto tale, non s’appartiene alla ratio dell’istituto (Cass. Pen. Sez. V, Sent. n. 12926/2020).