Responsabilità medica: concetto di imprudenza, imperizia e negligenza e grado di colpa

La responsabilità medica si configura in caso di danni cagionati ai pazienti da errori od omissioni dei sanitari.

La legge n. 24/2017 (Legge Gelli – Bianco) ha introdotto significative modifiche in tema di responsabilità medica escludendo la responsabilità penale dei medici per imperizia laddove dimostrino di essersi attenuti alle linee guida validate e pubblicate online dall’Istituto superiore di sanità.

In sede civile, poi, è stato stabilito che i medici che operano a qualsiasi titolo presso una struttura sanitaria, in caso di danni cagionati ai pazienti da errori od omissioni, saranno responsabili per colpa ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, mentre le strutture sanitarie ne risponderanno a titolo di responsabilità contrattuale.

A seguito della emanazione della precitata Legge, dunque, la responsabilità civile del sanitario è stata definita chiaramente.

Al verificarsi di un danno al paziente, difatti, il medico risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale mentre le strutture sanitarie rispondono a titolo di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di onere probatorio e di prescrizione (che è quinquennale per la responsabilità extracontrattuale e decennale per la responsabilità contrattuale).

Chi è rimasto vittima di errori da parte dei sanitari, dunque, può ottenere il risarcimento del pregiudizio subito, nei termini suindicati, ovviamente dopo aver valutato l’effettivo rapporto di causalità tra il danno subito e un operato non corretto del sanitario (mediante l’ausilio di un consulente tecnico specializzato in materia).

Al riguardo, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 15258/2020, depositata il 18 maggio 2020, ha chiarito che, in tema di responsabilità medica il Giudice di merito ha il compito di pronunciarsi in ordine alla responsabilità dei sanitari per l’evento infausto causato nel praticare tale attività, motivando la propria decisione tenendo conto, in relazione al caso concreto, della predisposizione di linee-guida o delle pratiche clinico-assistenziali, del tipo e del grado di condotta colposa attribuibile all’agente e della disciplina applicabile al reo.

In particolare, con la suindicata Sentenza, La Corte di Cassazione ha evidenziato la difficoltà di reperire (in giurisprudenza) indicazioni specifiche in merito al concetto di imprudenza, negligenza e imperizia.

A tal fine, il Giudice di Legittimità ha ritenuto che l’imperizia è concetto proprio dell’esercizio di una professione e si configura nella violazione delle “regole tecniche” della scienza e della pratica, a differenza dalla imprudenza e negligenza, alla cui base vi è la violazione di cautele attuabili secondo la comune esperienza.

Ai fini della determinazione del grado di colpa del sanitario, poi, è stato precisato che deve tenersi conto della natura della regola cautelare la cui inosservanza gli si rimprovera, avendo incidenza sulla maggior o minore esigibilità della condotta doverosa che egli possa limitarsi a conoscere la regola ed applicarla o, al contrario, sia chiamato a riconoscere previamente le condizioni che permettono di individuare le direttive comportamentali, che rendono doverosa l’adozione della misura, che consentono di individuare quale misura adottare.

La Sentenza in commento, pertanto, articolata ed argomentata esaustivamente, ripercorre i temi della imperizia e della colpa medica distinguendo i casi in cui il sanitario debba limitarsi a conoscere la regola e applicarla da quelli in cui deve prima individuare le condizioni di applicazione della suddetta regola per poi determinarsi correttamente.